Scopriamo il motivo per cui il Governo ha optato per tagli della rivalutazione meno severi
La rivalutazione delle pensioni è il processo con cui gli assegni pensionistici vengono aggiornati ogni anno in base all'inflazione registrata dall'Istat. Secondo quanto stabilito dalla legge n. 388 del 2000, si prevede per le pensioni un adeguamento al 100% fino a tre volte il trattamento minimo, mentre per le fasce superiori la rivalutazione è ridotta al 90% e al 75% per gli assegni superiori a cinque volte il minimo.
La rivalutazione – si noti – non è un aumento, ma lo strumento principale per conservare, nel tempo, il valore delle pensioni.
Tuttavia, dalla legge di bilancio del 2023, l’esecutivo ha iniziato a tagliare la rivalutazione delle pensioni per risparmiare sulla spesa pensionistica.
Più nel dettaglio, nell’ambito della manovra finanziaria 2023 l’attuale governo ha rivisto il meccanismo di indicizzazione delle pensioni, tagliando la rivalutazione per gli importi più alti. L’aumento rimaneva del 7,3% per le pensioni fino a 4 volte il minimo. Si registrava, invece, un severo abbassamento per le pensioni oltre quella soglia: 6,2% per gli assegni fino a 5 volte il minimo (pari a circa 1.600 euro netti), 3,8% tra 5 e 6 volte il minimo.
Adesso il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha dichiarato che, nel 2025, riprenderà la rivalutazione piena e che il “meccanismo di sterilizzazione che era in vigore non ci sarà più”.
Invero sulla decisione dell’esecutivo hanno influito le decisioni dei giudici contabili, i quali hanno sollevato dubbi sulla legittimità costituzionale di questa misura restrittiva che colpiva gli assegni pensionistici alti.
Si ricorda sul punto che proprio di recente, sulla questione della rivalutazione, la Corte dei Conti della Toscana ha sollevato un’eccezione di costituzionalità in relazione al ricorso - presentato da un dirigente scolastico in pensione - per ottenere la perequazione integrale del trattamento pensionistico negli anni 2022, 2023, 2024 (cfr. Corte dei Conti, ord. 11 luglio 2024, n. 70). Nella fattispecie il dirigente, essendo titolare di un trattamento pensionistico «pari a 5.708,11 lordi mensili, quindi superiore a dieci volte il minimo Inps», lamentava di subire «gli effetti negativi dei limiti alla perequazione automatica previsti dalla legge di bilancio 2023».
Nell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, il collegio dei giudici contabili ha precisato che «la penalizzazione dei titolari di trattamenti pensionistici più elevati lede non solo l’aspettativa economica ma anche la stessa dignità del lavoratore in quiescenza». Secondo questa prospettiva «la pensione più alta alla media non risulta considerata dal legislatore come il meritato riconoscimento per il maggiore impegno e capacità dimostrati durante la vita economicamente attiva, ma alla stregua di un mero privilegio, sacrificabile anche in un’asserita ottica dell’equità intergenerazionale».
A tale ordine di considerazioni i giudici contabili aggiungono che la particolare dignità dell’attività lavorativa come contributo al progresso della società implica "la necessità di valorizzare i principi della proporzionalità della retribuzione alla quantità e qualità del suo lavoro (art. 36 Cost.) e la funzione propriamente previdenziale dei trattamenti pensionistici (art. 38 Cost.), rendendo necessario mantenere la proporzionalità anche nei confronti dei lavoratori in quiescenza, non solo per assicurare al soggetto un trattamento economico commisurato all’attività lavorativa svolta ma per tutelare la stessa dignità del lavoratore che non può essere sminuita nel periodo successivo al collocamento in pensione".
Alla luce di queste riflessioni, il Governo ha, quindi, optato per una riduzione della rivalutazione più moderata rispetto agli anni scorsi. La rivalutazione, quest’anno, sarà attorno all’1,6% – così riferiscono i dati ISTAT – e il Governo ha rassicurato che, per gli assegni più alti, saranno previste riduzioni limitate e proporzionali:
per le pensioni tra 4 e 5 volte il minimo (2.100-2.600 euro al mese), la rivalutazione sarà al 90%;
per le pensioni tra 5 e 6 volte il minimo (2.600-3.100 euro al mese), la rivalutazione sarà del 75%;
per le pensioni superiori a 6 volte il minimo (oltre 3.100 euro al mese), la rivalutazione scenderà al 50%.
articolo scritto da:
Comments